Dev'essere genetico
non tutti gli errori sono perfetti.
mio papà,
gennaio, 2007
Il problema è che la discussione sul partito democratico che avviene in questi mesi, anni, ha un curioso impianto logico: l’analisi di partenza è unanimemente condivisa ma la conseguenza e diametralmente opposta. Mi pare sia condivisa l’inadeguatezza dell’attuale formazione politica della sinistra, nelle sue diverse forme. Ne è la testimonianza il costante tracollo di voti, ma peggio di iscritti, Che fare? O meglio, cosa facciamo? Io la vedo così: Intanto occorre una partito grande. Che abbia molte centinaia di migliaia di iscritti, un milione mi piacerebbe (tutti vivi, magari), che al suo interno sviluppi la capacità di selezionare la propria classe dirigente attraverso costante formazione, concorrenza e meritocrazia. Quella che poi guiderà il Paese. Per questo il sistema delle primarie americane mi pare possa fornire spunti di riflessione. (e non sto dicendo di fare il partito democratico americano che è un comitato elettorale senza valori e senza segretario). Cosa terrà insieme questo progetto? Beh, chi avrebbe scommesso nel PCI che nel 2006 far qualcosa di sinistra voleva dire liberalizzare? I valori che in una parte, maggioritaria, della sinistra sono condivisi oggi sono quelli della solidarietà, della valorizzazione della comunità, della giustizia e del sostegno sociale. Ma anche della concorrenza, della meritocrazia, della lotta alle corporazioni e ai privilegi di rendita; per la realizzazione dei propri obbiettivi, della possibilità di crescere socialmente e di poterlo fare in una società sicura (chiedetelo a Tony Blair). Per farlo, oltre andare e stare al governo possibilmente per più tempo che in piazza, sembrano necessarie le liberalizzazioni, la concorrenza, le regole di mercato e il mercato. Ma anche lo Stato dove è necessario (come si è detto negli anni ‘50 a Bad Godesberg, a proposito di tradizioni…), nella sanità e nell’istruzione, per esempio. Questi, ma non solo, sono elementi che un governo può decidere di perseguire o meno. Oggi come fra vent’anni. Bisogna creare leggi che perseguano questi obbiettivi, che non sono mai raggiunti una volta per tutti. Questo è ciò che nei fatti hanno fatto Ds e Margherita, o chi sotto questi nomi oggi milita, nel passato governo di centrosinistra, ed in questo; è stato questo che ha ispirato l’opposizione a Berlusconi, questo si è perseguito nei migliaia di anni di amministrazioni locali che abbiamo accumulato in questi 11 anni. E l’etica? Intanto sotto questo nome ci vanno cose molto diverse. E poi: come mai i PACS non erano argomento della passata legislatura di centrosinistra? Come mai non erano un baluardo di progresso nel PCI? Come mai sono nel programma di David Cameron, leader dei conservatori inglesi? Perché queste battaglie di civiltà maturano nella società. La politica può arrivarci prima o dopo, ma ci arriva. Fra vent’anni guai a chi toccherà i PACS in Italia, ne sono certo. Le questioni etiche sono figlie dei tempi che passano, la loro istituzionalizzazione e legittimazione politica non riguarda il se, ma solo il quando. Diverso è cio che accennavo più sopra, le scelte che regolano la vita dell’individuo nella nostra società di mercato, quelle riguardano sia il se sia il quando. Su questo oggi noi Ds e la Margherita convergiamo. Avrei ancora qualcosa da dire, ma ho gia detto troppo. Quindi in ultimo, da laico e 24enne, vorrei dire che non ho grandi verità in tasca. Ho bisogno di confrontarmi, non in un referendum pro o contro l’unificazione di Ds e Margherita ma sulla “società che si organizza” (sempre a proposito di tradizioni) per il perseguimento dei valori che ho, in parte, indicato. Che, chiamateli come volete, spero rappresenteranno il mio futuro.
GAGO NEWS - AGGIORNAMENTI IN DIRETTA
La sinistra radicale preme per un nuovo testo sulla guerra. Sembra che il nome dell'autore che metterebbe d'accordo tutti sia quello di Mogol.
L'Economist ha di recente dedicato un ritratto a Dov Charney, che ha 37 anni e un'aria giovanile, ed è il fondatore di uno dei successi commerciali americani più affascinanti di questi anni, con il marchio di abbigliamento American Apparel. La sua storia e il modo illuminato e inconsueto con cui manda avanti la sua azienda sono notevoli, ma qui sarebbero fuori tema: ne parlo, perché a un certo punto Charney definisce lo zoccolo duro dei clienti di American Apparel “cultura mondopolitana”. La definizione mi pare interessante per individuare un gruppo sociale e culturale che esiste anche in Italia, e che è del tutto sottorappresentato in ogni ambito: sono quelli che hanno tra i 25 e i 40 anni, curiosità per il mondo e i tempi e attenzione a quel che succede, cultura e privilegi per seguire molti interessi (su tutti l'attualità internazionale, la tecnologia, la musica, l'America, la cultura pop). Che hanno come modelli culturali i paesi anglosassoni e le loro modernità. Che non hanno nessuna rappresentanza politica e votano turandosi il naso, quando votano. Che non amano nessun giornale italiano (salvo Internazionale): al massimo li leggono, tollerandone le mediocrità. Che non si riconoscono nella programmazione da pensionati della gran parte delle reti generaliste ma nemmeno in quella da teenagers o da tiratardi-nei-centri-commerciali di Italia Uno. Che sono troppo vecchi o troppo colti per MTV. Che hanno un potere di consumatori e un'inclinazione al consumo del tutto attraenti per la pubblicità. Che privilegiano internet come fonte di informazioni, spettacoli, divertimento. La domanda è: lo fanno perché sono convinti che su internet ci sia tutto e che quello sia l'unico mezzo che conta, o perché non hanno alternativa, in Italia? Io chiedo in giro: la seconda, mi dicono.
Luca Sofri, Vanity Fair