GANZFELD

23 giugno 2008

Per farla semplice.

Anni fa il prof. Casonato, tanto sgangherato quanto intelligente, in una contorta lezione di psicanalisi, come solo la psicoanalisi sa esserlo, di colpo illuminò dicendo: "se insegni al bambino a mangiare le patatine con le mani...poi questo mangerà le patatine con le mani..."

Sembra un'idiozia, ma non lo è.
Mi pare la sintesi perfetta di ciò che avviene ora nel PD, ma anche in molte delle nostre esistenze
A lor signori non interessa parlar di politica, ma di forme dell'acqua, correnti, sedie e loro collocazione.
Così si faceva, così faranno ancora: perché così hanno imparato. Altroché.
E prima di tutto, francamente, è noioso. Da morire.
Per cambiare non bastano persone anagraficamente recenti se son cresciute con loro.
Servono persone cresciute dove loro non mettono il naso da anni.

Qualche idea:


marta meo
francesco costa
gianni cuperlo
wittgestein

[questo post non contiene "che"]

17 giugno 2008

meritocrazia


a proposito di meritocrazia:
il fatto che uno sia un bravo matematico ci dice qualcosa sul quanto sia bravo in matematica
,
non su tanto altro.
no?










[questo post non contiene "che"]

09 giugno 2008

tanto per

E prima di tutto

E prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a
protestare.

Brecht o Niemoeller,
comunque grazie a Marta Meo

05 giugno 2008

Grazie a dio sono laico


Non è più quello di una volta
5 Giugno 2008 Il Foglio

Il messia è arrivato. Appena diventerà presidente improvvisamente “il cielo si aprirà, la luce divina ci illuminerà, i cori celestiali non smetteranno di cantare, ciascuno di noi saprà che dovrà fare la cosa giusta e il mondo sarà finalmente perfetto”. Più o meno è questo, nello sfottò di Hillary Clinton, l’irrazionale entusiasmo scatenato da Barack Obama tra i suoi seguaci, specie tra i media. Intendiamoci. Obama è super, meraviglioso, stupendo e la sua vittoria alle primarie è storica, epocale, straordinaria. Detto questo, che non è poco, stiamo calmi. Hillary Clinton, la tanto vituperata e insopportabile Hillary, quella che metà degli americani non voterebbe nemmeno morta, ha preso più voti dell’immaginifico Obama. Più voti, non meno. E ha vinto in tutti gli stati più grandi d’America, nelle roccaforti democratiche e negli stati in bilico. Da quando la sua candidatura è stata data per sepolta da una stampa che avrebbe fatto passare Emilio Fede e Curzio Maltese per analisti equilibrati, Hillary ha prevalso quasi ovunque e quasi sempre, ribaltando sondaggi e previsioni e commenti funerei.
L’obiezione è: anche Al Gore nel 2000 ha preso più voti di George W. Bush. Non è proprio così. Se alle primarie democratiche ci fossero state le regole “winner takes all” usate dai repubblicani, cioè le medesime che il 4 novembre decideranno la presidenza degli Stati Uniti, o se perlomeno ci fosse stato un sistema di selezione del candidato ideato da persone senza rapporti intensi con sostanze psicotrope, Hillary sarebbe da tempo la nominata del partito e con buone, ottime possibilità, probabilmente superiori a quelle di Obama, di entrare alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio.
E invece no. Ha vinto Obama. E ha vinto grazie alla decisione unanime della stampa americana, come si sono accorti i Clinton, costretti ad affrontare una vasta cospirazione di estrema sinistra così violenta da far rimpiangere il vecchio procuratore Ken Starr del sexgate. Obama ha vinto anche per aver predisposto la più strepitosa macchina organizzativa e di autofinanziamento mai vista in politica, a dimostrazione che il senatore non è uno solo chiacchiere e spillette. Ma senza gli errori della Clinton Machine, avrebbe chiuso bottega da tempo. I clintoniani erano certi di poter chiudere la partita subito, nei grandi stati, e hanno lasciato campo libero al senatore nel resto del paese. Un dato: Obama ha conquistato circa 140 delegati in più di Hillary, tra quelli eleggibili. Il saldo a favore di Obama nei caucus, cioè nelle lunghe e laboriose riunioni di partito dove si vince solo se si dispone di un’organizzazione capillare e di tanti militanti, è stato di 139 delegati.
Nessuno sa come andrà a finire a novembre, e chi dice il contrario mente sapendo di mentire. Il fenomeno Obama potrebbe crescere ancora, trasformarsi in una valanga e travolgere McCain senza che il senatore dell’Arizona se ne accorga. Oppure la bolla potrebbe sgonfiarsi rapidamente.
Il punto che sfugge, però, è che Obama non è più il candidato di un anno fa, quello che faceva sognare sinistra e destra, liberal e conservatori, che aspirava a unire il paese e a chiudere l’era delle guerre culturali, razziali e partigiane. Il processo democratico delle primarie e il confronto con gli avversari e gli elettori l’hanno completamente ridefinito. Obama resta il candidato perfetto per una serie televisiva, e infatti s’è scoperto che l’ultima serie di “The West Wing”si è ispirata a lui per delineare il candidato ispanico Matt Santos, ma ora si è trasformato nel solito candidato elitario, intellettuale, troppo di sinistra e incapace di connettersi col paese reale. Non sono opinioni. Sono mesi che Obama viene rifiutato stato dopo stato, primaria dopo primaria, dalla working class del suo stesso partito, dai poveri, dagli immigrati ispanici, dai cattolici, dagli anziani, dalle donne, dagli ebrei e da qualsiasi categoria sociale e razziale a cui non appartengano afroamericani, studenti, intellettuali, miliardari, divi di Hollywood e fighetti.
Christian Rocca

Because you believed that this year must be different than all the rest.