GANZFELD

28 aprile 2009

visto o sentito /19


Ogni volta che esce un disco di Chris Cornell suona su questo pianeta una cosa che prima non c’era. Partirei da qui, perché non è cosa che avviene spesso.
Scream è un disco quasi completamente elettronico, con un bit sostanzialmente uguale fra i pezzi e nessuna pausa fra le tracce. Un disco dance. Il riferimento non è Moby, né Roni Size, né i Daft Punk, né i Moloko, né i Massive Attack, né Bjork, né Tricky, né st. Germain, né l’hip-hop (né niente di ciò che passa Bertallott, insomma): il riferimento comunque è il rock’n’roll.
Poi gli strumenti sono diversi. E li suona Timbaland.


Ma il punto è un altro, e sempre lo stesso: sono certo che a quasi nessun fan piacerà perché Cornell è quello dei Soundgarden e dei distorsori. Ma non è esatto (esatto in quanto participio di esigere). Quello era il Cornell della trance sul palco, delle stonature e dei pezzi meravigliosi. Ma che ad un ascolto mediato anche da elementi culturali differenti da quelli suggeriti dalla pancia erano ad anni luce dai più scontati riferimenti a cui si associavano. Possedevano allora un linguaggio che per funzionare presentava con questi ampi elementi condivisi, ovviamente, ma che non erano essi stessi la prassi che intendevano spiegare.
Ed oggi avviene qualcosa di analogo.
Scream propone suoni a cui non siamo abituati:a differenza degli ultimi due lavori solisti dove almeno i nomi degli strumenti, a noi rockettari, erano noti; era meno immediato quel che facessero.
Ora ho paura che messaggio e mezzo vengano confusi. Perché Euphoria Morning non piacque, tranne a me e pochi altri; perché Carry On non piacque tranne a me e pochi altri; perché gli Audioslave piacquero, tranne a me e pochi altri (amando per altro, io, i ratm). Ed ora, ho paura, siamo ancora una volta nella stessa situazione, mi sa. Magari sbaglio. Ma di ballare e cantare in auto a squarcia gola con un disco del 2009 commuovendomi per quel timbro di voce – lì si, sempre lui - che apre i ritornelli come fa da mille anni non era mai capitato. Poi ci si potrebbe mettere a fare ragionamenti più tecnici su come, un disco dance, spazi via buona parte dell’attuale produzione rock (come fecero i soundgarden allora) ma evitiamolo, via.


Ho idea, infine, che si tratti del solito manicheo scontro: da una parte chi vorrebbe sempre la stessa cosa: quelli che “…si ma i primi dischi..”. Dall’altra quelli che invece si fidano e pensano che una carriera tanto alta (a parte gli audioslave - conferma solo del fatto che sia terreno e non alieno, e quindi passibile d’errore) forse non sia un caso, ma che abbia sempre qualcosa da dire di nuovo, anche se al momento non sembra.

E se in più avviene facendoti ballare e cantare, mi chiedo cosa si possa volere di più.